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Il Gruppo Ulisse Biomed è un gruppo biotech integrato con tecnologie proprietarie, che sviluppa soluzioni diagnostiche, con un focus su salute pubblica, diagnostica distribuita e innovazione molecolare.

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Il Gruppo Ulisse Biomed è un gruppo biotech intyegrato con tecnologie proprietarie, che sviluppa soluzioni diagnostiche, con un focus su salute pubblica, diagnostica distribuita e innovazione molecolare.


20 settembre 2025



Tempo di lettura [minuti]: 22


Diagnostica Distribuita

Diagnostica molecolare decentralizzata nei piccoli ospedali

Come i test PCR portatili e connessi stanno colmando il divario diagnostico nelle strutture periferiche, migliorando tempi di risposta clinica e sostenibilità operativa.


Snapshot

  • PCR decentralizzata
    Approccio che sposta test molecolari avanzati dal laboratorio centralizzato ai punti di cura periferici (es. piccoli ospedali), grazie a strumenti portatili e connessi. Consente diagnosi in loco in tempi rapidi, riducendo la dipendenza dal laboratorio hub.
  • Point-of-Care (POC)
    Esame diagnostico eseguito direttamente sul luogo di cura (reparto, ambulatorio, etc.) invece che in laboratorio. I sistemi POCT molecolari offrono sensibilità e specificità elevate con tempi di risposta di minuti/ore, permettendo decisioni cliniche immediate
  • Hub & Spoke
    Modello organizzativo “a raggiera” in cui un centro di riferimento (hub) supporta una rete di unità periferiche (spoke). In ambito diagnostico, l’hub (laboratorio centrale) fornisce competenze specialistiche e sorveglianza, mentre gli spoke (piccoli ospedali) eseguono test in loco e condividono i dati. Ciò garantisce tempi di risposta rapidi localmente e al contempo integrazione dei risultati a livello di rete.
  • TAT (Turnaround Time)
    Tempo di ciclo del test, ovvero l’intervallo tra richiesta dell’esame e referto disponibile. È un KPI cruciale: TAT ridotti migliorano la gestione clinica (es. in emergenza) e l’efficienza operativa. La diagnostica decentralizzata punta a abbattere il TAT da giorni a ore o minuti
  • Reagenti ambient-stabili
    Reagenti molecolari formulati in modo da non richiedere refrigerazione. Possono essere stoccati a temperatura ambiente per mesi mantenendo stabilità e sensibilità. Eliminando la cold chain, semplificano la logistica e riducono costi e vincoli, permettendo di portare test avanzati anche in contesti privi di infrastrutture frigorifere.
  • ROI (Return on Investment)
    Indice di ritorno sull’investimento. Nel contesto sanitario, include sia risparmi diretti (es. minori costi di trasferimenti e isolamento pazienti) sia benefici indiretti (riduzione complicanze, giornate di degenza evitate). L’adozione di sistemi POCT molecolari nei piccoli ospedali ha mostrato ROI favorevoli in termini sia economici che di esiti clinici.
  • Mini-laboratorio PCR portatile
    Dispositivo PCR compatto (es. bCUBE™) delle dimensioni di ~10×10×12 cm, peso ~1 kg. Offre prestazioni da laboratorio (cicli termici rapidi, multiplex fino a 4 canali) ma senza bisogno di infrastrutture complesse: è plug-and-play, richiede solo alimentazione elettrica e connessione internet. Consente di allestire un punto diagnostico avanzato in qualsiasi reparto o sede remota in pochi minuti.

Introduzione

Nei piccoli ospedali di area periferica, ottenere una diagnosi molecolare rapida può essere estremamente difficile con i modelli tradizionali. Spesso queste strutture non dispongono di un laboratorio di microbiologia/molecular diagnostics interno e devono affidarsi a laboratori centralizzati regionali. Ne derivano ritardi significativi: i campioni biologici (tamponi, emocolture, biopsie, ecc.) devono essere trasportati verso l’hub centrale, con tempistiche che includono il trasferimento fisico (via corriere o ambulanza) e l’attesa dell’elaborazione nel batch di laboratorio. Il turnaround time medio può così allungarsi a 2-3 giorni anche per test critici. In pronto soccorso e terapia intensiva questo delay diagnostico si traduce in incertezze cliniche prolungate: i medici sono costretti a decidere terapie e ricoveri senza un dato etiologico certo, spesso avviando trattamenti empirici ad ampio spettro (es. antibiotici o antivirali “alla cieca”). Ciò non solo aumenta il rischio di effetti collaterali e l’insorgenza di resistenze antimicrobiche, ma può portare a interventi non ottimali (ad esempio isolamenti precauzionali di pazienti sospetti infettivi che poi si rivelano negativi, occupando inutilmente posti letto dedicati).

Dal punto di vista organizzativo, la dipendenza da laboratori centralizzati comporta costi operativi e logistici rilevanti: trasporto dei campioni (via terra o aerea nelle zone remote) con corrieri dedicati, gestione amministrativa delle richieste esterne, nonché possibili disallineamenti nei sistemi informativi (tracciare i campioni inviati fuori sede, referti che ritornano via fax/PDF da inserire manualmente nei record del paziente, ecc.). Inoltre, gli ospedali periferici perdono in parte la capacità di gestire autonomamente le emergenze infettivologiche e diagnostiche: in situazioni di outbreak o di picchi epidemici (come l’influenza o il COVID-19), il collo di bottiglia del laboratorio centralizzato rischia di rallentare l’intera risposta territoriale.

L’esigenza di decentralizzare la diagnostica molecolare nasce quindi dalla necessità di portare il test vicino al paziente, abbattendo tempi morti e passaggi intermedi. Come afferma il dott. Lorenzo Colombo, CTO di Ulisse Biomed, “bCUBE permette di portare il laboratorio dove serve”.

Negli ultimi anni la tecnologia ha reso possibile questo cambio di paradigma: sono emerse piattaforme PCR portatili compatte e user-friendly, con performance comparabili agli strumenti di laboratorio tradizionali. Allo stesso tempo, reagenti liofilizzati stabili a temperatura ambiente e software cloud di gestione remota hanno eliminato i vincoli pratici che storicamente confinavano la PCR entro le mura di un laboratorio centralizzato. In questo articolo esamineremo come un sistema integrato come Hyris System™ – composto dal dispositivo portatile bCUBE™ e dalla piattaforma software bAPP™ – possa fungere da nodo diagnostico autonomo presso i piccoli ospedali, rivoluzionandone i flussi clinici e l’efficienza operativa. Approfondiremo sia gli aspetti operativi (ad esempio come cambia il workflow di gestione del paziente in pronto soccorso con una PCR point-of-care disponibile sul posto) sia le implicazioni strategiche a livello di rete sanitaria (modelli hub & spoke potenziati, indicatori chiave di performance, sostenibilità economica e opportunità per investitori attenti a criteri ESG). Una sezione dedicata riporterà l’intervista con il CTO Lorenzo Colombo, che offrirà insight sulle sfide di implementazione tecnologica e la visione futura di Ulisse Biomed sul tema.


1. Flussi clinici con diagnostica rapida sul posto

Implementare una PCR decentralizzata in un piccolo ospedale significa impattare direttamente sui flussi clinici quotidiani, in particolare nelle aree critiche come il Pronto Soccorso, il reparto di Medicina d’urgenza e le Terapie intensive. Consideriamo il percorso tipico di un paziente con sintomi infettivi (es. febbre alta, tosse, difficoltà respiratorie) che si presenta in PS durante la stagione influenzale. Nel modello tradizionale, il medico effettua prelievi (tamponi nasofaringei, sangue per emocolture, etc.) e li invia al laboratorio centrale distante: nell’attesa (che può durare molte ore o giorni per test microbiologici completi), il paziente viene probabilmente ricoverato in isolamento empirico (ad esempio in attesa di escludere COVID-19, influenza o altre infezioni respiratorie) e trattato intanto con antibiotici o antivirali empirici. Questo approccio “prudenziale” è comprensibile ma inefficiente: fino al 50% dei pazienti con sintomi simil-influenzali ricoverati risultano poi negativi ai virus target, indicando ricoveri potenzialmente evitabili se si fosse avuta prima la conferma diagnostica[19].

Con un sistema molecolare in loco, lo scenario cambia radicalmente: lo stesso tampone nasofaringeo viene inserito immediatamente nella cartuccia PCR bCUBE e analizzato sul posto; in circa 90 minuti il risultato è disponibile via bAPP sul cloud[4]. Il medico di PS può così confermare o escludere rapidamente la presenza di patogeni respiratori chiave (es. SARS-CoV-2, influenza A/B, RSV, ecc.), stratificando subito il paziente: chi risulta positivo viene gestito appropriatamente (ad esempio antivirale specifico, ricovero in area isolamento se necessario), mentre un paziente negativo per virus influenzali/COVID potrebbe essere dimesso o indirizzato ad altri accertamenti (evitando un ricovero inutile). Studi clinici hanno documentato benefici concreti: l’introduzione di test PCR rapidi per influenza/RSV in PS ha ridotto la durata della permanenza in pronto soccorso e nei Medical Assessment Units del ~20%, con una diminuzione assoluta dei ricoveri dal 9,8% al 14%[7]. Inoltre, grazie alla diagnosi virologica immediata si è osservata una riduzione significativa delle prescrizioni di antibiotici (evitate quando l’eziologia virale è confermata) e degli esami ancillari, con dimissioni più rapide[7]. Un trial citato dalla letteratura evidenzia come il tempo mediano di risposta con PCR rapida sia risultato di 2,3 ore rispetto a 27,4 ore con PCR standard di laboratorio (p < 0,01)[5]. Questo delta di oltre 25 ore si traduce in un vantaggio enorme nell’attuazione tempestiva di misure cliniche: in pazienti con sepsi, ad esempio, iniziare una terapia mirata anche solo 6-8 ore prima fa la differenza tra vita e morte – si stima infatti un decesso aggiuntivo ogni 82 pazienti per ogni ritardo oltre le 6-8 ore nell’avvio del trattamento appropriato[1]. Di conseguenza, il rapid PCR testing al bedside consente di guadagnare ore critiche nei pazienti settici, guidando la scelta dell’antibiotico giusto (o identificando precocemente un patogeno atipico) e migliorando gli esiti clinici[20].

Un altro campo di applicazione nei piccoli ospedali è lo screening diagnostico precoce in ambito oncologico. Ad esempio, i programmi di screening cervicale (Pap test/HPV) nelle zone decentrate potrebbero trarre enorme vantaggio dalla disponibilità di test HPV molecolari on-site. Tradizionalmente, il test HPV su DNA richiede laboratorio centralizzato e strumentazione complessa, con tempi di risposta di diverse settimane dall’ambulatorio periferico. Ulisse Biomed ha sviluppato un kit HPV ad ampio spettro (fino a 30 ceppi) validato proprio su piattaforme portatili come bCUBE, dimostrando che è possibile eseguire lo screening HPV direttamente in un piccolo centro con prestazioni sovrapponibili a quelle di un laboratorio specialistico[21]. Portare il test di screening “sul territorio” aumenta la copertura diagnostica e l’adesione delle pazienti (che ricevono il risultato in giornata invece di dover attendere e tornare per il referto) e potenzialmente permette di intercettare prima le lesioni precancerose. Analogamente, si possono immaginare applicazioni oncologiche come test molecolari rapidi su biopsie superficiali (mutazioni genetiche, marker specifici) eseguiti in ospedali periferici per orientare il paziente subito verso centri specialistici appropriati, invece di compiere iter diagnostici frammentati su più livelli.

Va sottolineato che l’introduzione di questi mini-laboratori richiede minima formazione aggiuntiva del personale. Gli strumenti come bCUBE sono pensati per essere plug-and-play: non servono tarature né infrastrutture complesse, l’interfaccia bAPP guida l’operatore passo-passo, e l’interpretazione dei risultati è in gran parte supportata dall’AI integrata, riducendo la dipendenza da personale altamente specializzato[22]. In pratica un infermiere di PS o un tecnico di laboratorio generale, con un breve training, può gestire i test in autonomia. Questo è fondamentale nei piccoli ospedali dove il personale di laboratorio è ridotto o assente nei turni di notte/festivi – un sistema decentralizzato efficace deve poter essere utilizzato 24/7 dal team clinico sul campo. Fortunatamente, la curva di apprendimento per queste nuove piattaforme è rapida e, come riportato in alcune esperienze, non richiede competenze avanzate di biologia molecolare: la semplicità d’uso è un fattore chiave che ha rimosso una storica barriera all’adozione della diagnostica rapida[23][24].

Esempio di confronto dei tempi di risposta (TAT) tra percorsi diagnostici tradizionali e test molecolari POCT. I sistemi point-of-care decentralizzati (colonne a sinistra) forniscono risultati in poche ore, rispetto ai metodi tradizionali in laboratorio centrale (colonne a destra) che richiedono da 1-3 giorni per PCR standard fino a 2-3 giorni per le colture batteriologiche[1][25].

In sintesi, dotare i piccoli ospedali di capacità diagnostica molecolare onsite significa rendere il flusso-paziente più rapido ed efficace: dal triage iniziale fino alla terapia, ogni decisione critica può essere presa su basi oggettive in tempo reale. Ciò migliora l’appropriatezza clinica (meno antibiotici “a tappeto”, più trattamenti mirati) e permette di allocare meglio le risorse (posti letto, dispositivi di protezione, ecc.), con benefici che si propagano a tutto l’ospedale e alla rete sanitaria circostante.


2. Modello Hub & Spoke e integrazione in rete

L’adozione diffusa di strumenti come Hyris System nei piccoli ospedali si inserisce in una strategia più ampia di riorganizzazione a rete hub & spoke. In molti sistemi sanitari regionali esiste già una gerarchia funzionale: grandi ospedali centrali con laboratori attrezzati (hub) e ospedali periferici di dimensioni minori (spoke) ad essi collegati. Tradizionalmente, però, questo modello vedeva il laboratorio concentrato solo sull’hub, con gli spoke in posizione passiva (mera raccolta e invio campioni). L’introduzione di mini-laboratori PCR negli spoke trasforma il paradigma: ora ogni spoke diventa un micro-hub diagnostico autonomo, in grado di processare internamente gran parte dei test urgenti e di routine, e inviare all’hub centrale solo i casi più complessi o i campioni per esami di altissima specializzazione. In pratica, si realizza una rete di nodi diagnostici distribuiti ma connessi.

Il ruolo dell’hub centrale si evolve: esso rimane riferimento per esami avanzati non eseguibili localmente (es. sequenziamento genomico, colture particolari) e soprattutto funge da centro di coordinamento e sorveglianza. Infatti, grazie al cloud, tutti i dati generati dai bCUBE periferici vengono aggregati in tempo reale e possono essere monitorati dal laboratorio centrale o dall’azienda sanitaria[10]. Questo abilita una sorveglianza epidemiologica live: ad esempio, se in vari ospedali spoke compaiono in contemporanea positività per un certo patogeno (influenza, Legionella, ecc.), il laboratorio hub e il Dipartimento di prevenzione possono allertarsi immediatamente per una risposta coordinata. Si passa dal concetto di inviare il campione al centro (modello classico) a inviare il dato al centro, molto più rapidamente e senza movimentare fisicamente nulla. Come osserva Lorenzo Colombo, “il campione non deve più spostarsi: si sposta il dato”, sottolineando come la connettività cloud permetta di mantenere centralizzata l’intelligenza e l’analisi di popolazione anche quando la wet lab analysis è decentrata[4][10].

Un altro vantaggio del modello hub & spoke con diagnostica decentrata è la riduzione del carico di lavoro sul laboratorio centrale. Quest’ultimo può concentrare le proprie risorse e tecnici sulle attività ad alto valore aggiunto (es. test di conferma, tipizzazioni, indagini complesse), evitando di essere intasato da centinaia di tamponi di screening o test di routine che invece gli spoke possono gestire. Ciò porta a una maggiore efficienza globale del sistema: il laboratorio hub migliora i propri tempi sui test specialistici e funge da consulente di secondo livello (ad esempio può eseguire un controllo di qualità remoto sui risultati degli spoke, o intervenire se uno spoke rileva qualcosa di anomalo), mentre gli spoke garantiscono prossimità e rapidità sui test comuni. Interoperabilità è la parola chiave: sistemi come Hyris sono progettati per integrarsi con i software ospedalieri esistenti (LIS, middleware di laboratorio) e con eventuali strumenti di telemedicina e teleconsulenza[26]. Un medico dell’hub può visionare in tempo reale l’amplificazione PCR che sta avvenendo in uno spoke remoto tramite bAPP, oppure validare a distanza un risultato dubbio. Questo rompe l’isolamento digitale dei piccoli ospedali, facendoli entrare a pieno titolo in un ecosistema connesso.

Simulazione flusso paziente in rete hub & spoke

Scenario
Paziente con sospetta sepsi batterica in un ospedale periferico spoke.

Flusso tradizionale
Prelievo emocoltura inviato al laboratorio centrale (hub) via corriere. Il paziente inizia terapia empirica ad ampio spettro e viene ricoverato in attesa degli esiti. TAT medio: 24-48 ore per la crescita colturale e identificazione patogeno; il paziente potrebbe restare in terapia intensiva sotto copertura antibiotica fino al referto.

Flusso con PCR decentralizzata
Prelievo analizzato immediatamente con PCR multiplex on-site (es. pannello sepsi) direttamente nel reparto spoke. TAT: ~2 ore per l’identificazione DNA/RNA di patogeni nel sangue[5]. Se la PCR rileva ad esempio E. coli con resistenza a blaCTX-M, l’ospedale periferico può subito adeguare la terapia antibiotica (usando carbapenemi mirati) senza attendere la coltura. Nel frattempo, i dati sono automaticamente inviati al centro hub e a Infettivologia via cloud. Dopo 2 ore il paziente è già su terapia mirata; a 24 ore l’hub confermerà eventualmente il risultato con metodica tradizionale, ma il trattamento precoce ha guadagnato un giorno intero, migliorando la prognosi.

Saving
Il tempo di isolamento empirico e di degenza potenzialmente si riduce (–1 giorno di ICU), con risparmio di costi (farmaci, presidi) e minore esposizione del paziente a antibiotici inutili. Studi dimostrano che l’integrazione di test rapidi in protocolli sepsi può ridurre la mortalità e i giorni di degenza, aumentando al contempo l’appropriatezza antibiotica[20][3].

3. KPI e benefici misurabili (ROI)

L’implementazione su scala di soluzioni di diagnostica molecolare decentralizzata nei piccoli ospedali consente di raccogliere indicatori chiave di performance (KPI) che dimostrano in modo quantitativo i benefici clinici ed economici. Di seguito sintetizziamo alcuni KPI, emersi sia dalla letteratura internazionale sia dalle prime esperienze sul campo, che delineano il ROI di tale innovazione:

  • Riduzione del Turnaround Time (TAT): è l’indicatore più immediato. Come visto, passare da un TAT di ~48 ore a ~2 ore significa un miglioramento di oltre 95%.. Ciò si traduce direttamente in decisioni cliniche prese più precocemente. Un TAT più breve è correlato a dimissioni anticipate (liberando posti letto) e a minori complicanze (un esempio: per ogni ora guadagnata nel trattare un infarto o sepsi si riduce la mortalità di una certa percentuale). Nel contesto delle infezioni respiratorie, uno studio del NHS ha stimato un risparmio di ~8 ore di isolamento per paziente testato con PCR rapida per influenza, evitando prolungamenti non necessari delle misure di protezione[1][27].
  • Riduzione dei ricoveri e delle degenze medie: grazie a diagnosi più accurate al triage, molti pazienti possono evitare il ricovero o essere ricoverati in reparti appropriati. Ad esempio, come citato, negli Adult Medical Units UK l’uso di test rapidi influenza ha portato a una diminuzione dei ricoveri del ~10% rispetto al protocollo standard[7]. Inoltre, pazienti ricoverati possono avere una degenza più breve: nel confronto tra PCR rapida vs standard, i pazienti testati rapidamente avevano tassi di dimissione a domicilio >80% e minori trasferimenti in terapia intensiva[25]. Meno giorni di degenza equivalgono a costi inferiori per il sistema (giornate letto risparmiate) e minori rischi per il paziente (infezioni ospedaliere, stress, ecc.).
  • Antibiotic Stewardship – Uso appropriato di antibiotici: KPI misurabili includono la percentuale di pazienti che ricevono terapie empiriche inappropriate. Con l’introduzione di test molecolari rapidi, studi hanno documentato una riduzione significativa (>30-40%) nell’uso di antibiotici inutili nei pazienti con sindromi respiratorie[2][19]. Un dato eclatante proviene da un’analisi irlandese: i pazienti che hanno effettuato un test PCR rapido per influenza hanno avuto un costo totale di gestione inferiore del 67% rispetto a quelli non testati rapidamente (grazie a meno antibiotici e minori giornate di ricovero)[28]. Anche la percentuale di conversione da terapia empirica a mirata entro 24-48 ore è un KPI: con test tradizionali spesso l’adeguamento avviene al 3° giorno o più tardi, mentre con PCR decentralizzata può avvenire già in Day 1, migliorando gli esiti.
  • Costi evitati per isolamento e DPI: ogni paziente sospetto infettivo viene spesso gestito in isolamento, con costi di stanze singole, uso intensivo di dispositivi di protezione individuale (DPI) e percorsi dedicati. Se un test rapido negativo può far revocare l’isolamento dopo poche ore anziché giorni, i risparmi sono notevoli. Viene stimato un abbattimento del 50% dei costi di isolamento per paziente grazie al quick testing, e un azzeramento virtuale dei costi da trasmissione secondaria (ovvero si riducono a zero i casi di contagio ospedaliero aggiuntivo evitati grazie alla diagnosi precoce)[9]. Ciò ha un forte impatto anche sul controllo delle infezioni correlate all’assistenza.
  • Indicatori di outcome clinico: anche se da valutare su ampie casistiche, si possono considerare metriche come la mortalità a 30 giorni per sepsi o polmoniti. L’integrazione di test diagnostici rapidi in bundle di trattamento ha mostrato tendenze verso la riduzione della mortalità (ad esempio, uno studio meta-analitico su 88 studi suggerisce che l’uso di diagnostica rapida unito a programmi di stewardship può ridurre la mortalità nelle infezioni severe rispetto alla gestione convenzionale[29]). Altri outcome da monitorare: tasso di riammissione ospedaliera entro 7 giorni (atteso in calo se si risolve meglio il problema nella prima ammissione), tasso di utilizzo della terapia intensiva, etc.

Dal punto di vista economico-finanziario, sommando questi elementi, il ROI per l’ospedale e per il sistema sanitario è tangibile. Un’analisi condotta in ambito NHS ha quantificato in £242.730 risparmiati ogni 1000 pazienti con sintomi simil-influenzali gestiti con test molecolare rapido[28]. In altri termini, per ogni paziente testato subito, l’ospedale risparmia mediamente diverse centinaia di sterline/euro (evitando notti di degenza, terapie inutili, contagi). Su scala regionale o nazionale, l’investimento in dispositivi POCT molecolari viene ripagato rapidamente dai risparmi generati e dai costi evitati (pensiamo anche solo al valore di non dover trasferire secondariamente un paziente che si aggrava perché diagnosticato tardi).

Un elemento spesso trascurato ma fondamentale nel ROI è il valore sociale e di sistema: garantire diagnosi rapide e di qualità anche nei presidi periferici significa offrire equità di accesso (evitando che la qualità della cura dipenda dalla geografia) e aumentare la fiducia dei cittadini nella sanità territoriale. Questo può tradursi in un migliore utilizzo degli ospedali periferici (riducendo la pressione sui grandi hub) e in punteggi migliori negli indicatori di performance regionale (tempi di attesa, gradimento utenti, etc.). Per gli investitori ESG, iniziative di questo tipo coniugano outcome sanitari migliorati e sostenibilità economica, risultando esempi virtuosi di innovazione ad impatto positivo.

4. Intervista – Lorenzo Colombo, CTO di Ulisse Biomed

D: Dott. Colombo, quali pensa siano le principali sfide tecniche e organizzative nell’implementare una diagnostica molecolare decentralizzata nei piccoli ospedali?

Lorenzo Colombo (CTO, Ulisse Biomed): La sfida principale è portare la potenza di un laboratorio di biologia molecolare in un contesto non specialistico, mantenendo affidabilità e semplicità. Da un punto di vista tecnico, con bCUBE™ abbiamo lavorato per miniaturizzare l’hardware senza compromessi prestazionali – oggi un dispositivo grande come il palmo di una mano può fare una PCR in real-time con sensibilità ed accuratezza paragonabili a un termociclatore da banco[15][18]. Questo è stato un enorme passo avanti. Ma l’hardware da solo non basta: dovevamo assicurarci che l’utilizzatore finale non fosse un esperto di PCR. E qui entra in gioco il software bAPP™ e tutta l’intelligenza integrata. L’interfaccia è pensata per guidare un tecnico di laboratorio generale in ogni fase, dal setup del campione all’interpretazione del risultato. Con AI e algoritmi controlliamo la qualità della curva di amplificazione in tempo reale e forniamo subito un esito “refertabile” (es. positivo per patogeno X, negativo Y, controllo interno OK)[30][31]. In questo modo “democratizziamo” la PCR, abbassando la soglia di competenze necessarie per usarla. Dal lato organizzativo, una sfida è l’integrazione nei flussi esistenti: un piccolo ospedale ha protocolli rodati per l’invio campioni all’hub, quindi introdurre un nuovo processo richiede formazione e soprattutto fiducia. Abbiamo riscontrato che coinvolgere il laboratorio centrale come partner e non come “competitor” è essenziale: il modello vincente è quello hub & spoke integrato, dove il centro supporta e supervisiona la rete di mini-lab periferici. Tecnologicamente abbiamo previsto gateway di integrazione (bGATE) e API per collegare bCUBE ai LIS di laboratorio e ai sistemi informativi ospedalieri[26], così i dati fluiscono in continuità. Insomma, la sfida è più culturale che tecnica: gli strumenti ormai ci sono, robusti e validati, bisogna far evolvere l’organizzazione attorno ad essi.

D: Dal punto di vista strategico regionale o nazionale, come vede un modello diffusivo di mini-laboratori PCR? E quali KPI dovrebbero monitorare le direzioni sanitarie per valutarne il successo?

L.C.: Immagino una rete capillare dove ogni ospedale di zona diventa un sentinella diagnostica. Questo è strategico sia per la prontezza clinica (ogni comunità locale ha accesso immediato a test avanzati, dal sospetto di meningite al test influenza) sia per la sorveglianza di sanità pubblica. Pensiamo alle campagne vaccinali o al monitoraggio di patogeni emergenti: con dispositivi connessi in ogni struttura possiamo avere un polso in tempo reale di cosa circola, quasi come avere stazioni meteo distribuite per le malattie infettive. A livello regionale, un modello replicabile potrebbe essere: dotare tutti gli spoke di un kit base di diagnosi molecolare (virologia respiratoria, sepsi, ecc.), con l’hub che fa da centro di riferimento. I KPI da monitorare includono certamente quelli di processo (TAT medio per test critici, numero di test eseguiti localmente vs inviati fuori, % di risultati disponibili entro 1 ora, ecc.), ma suggerisco di guardare anche agli outcome clinici diretti: ad esempio riduzione della mortalità da sepsi in pronto soccorso, riduzione delle giornate di isolamento per paziente, tempo medio di adeguamento terapia antibiotica. Sono metriche che linkano la tecnologia all’effetto sul paziente. Un altro indicatore interessante è il tasso di trasferimenti evitati: quanti pazienti possono essere gestiti completamente nel piccolo ospedale grazie alla diagnostica avanzata, senza dover essere trasferiti all’hub? Questo incide sul comfort del paziente e sui costi (meno trasporti secondari, ambulanze, ecc.). Dal lato economico, le direzioni sanitarie possono monitorare il costo per diagnosi sostanzialmente: nel calcolo va inserito il costo dell’investimento in tecnologia, ma sottratti i risparmi (meno giornate di degenza, meno farmaci inutili, meno costi laboratorio centralizzato). I nostri modelli interni e la letteratura mostrano che il pareggio avviene rapidamente, anzi spesso l’investimento si ripaga nel giro di 1-2 anni con i risparmi generati[28][8]. Non dimenticherei infine KPI di soddisfazione e accessibilità: per esempio, tempi di attesa per certe diagnostiche che prima erano settimanali e ora diventano immediati, feedback dei medici di periferia che si sentono più autonomi, e persino indicatori ESG come la riduzione delle emissioni (meno trasporti di campioni su strada significano un piccolo contributo green). Insomma, i numeri da guardare sono molti e tutti puntano nella stessa direzione: questa innovazione porta valore sia clinico che economico.

D: Guardando al futuro, come evolverà secondo lei la diagnostica molecolare decentrata? Ci sono ambiti emergenti o nuove tecnologie che potrebbero ulteriormente potenziare questi sistemi nei prossimi 5-10 anni?

L.C.: Credo fermamente che andremo verso un modello di diagnostica distribuita, intelligente e anticipatoria. Distribuita perché – come detto – i test saranno sempre più vicini al paziente, anche fuori dall’ospedale: immaginate farmacie o ambulatori territoriali con mini-PCR per screening rapidi, o unità mobili nelle RSA. Intelligente perché l’AI avrà un ruolo crescente: già oggi nel nostro ecosistema l’AI aiuta nell’interpretazione, ma in futuro potrà essere utilizzata sui big data diagnostici aggregati. Con migliaia di punti di test connessi, possiamo raccogliere una mole di dati enorme e cercare correlazioni nascoste. Ad esempio, correlare certi profili genetici virali con l’outcome dei pazienti o con la risposta a terapie. L’AI potrà forse prevedere trend – un po’ come le previsioni del tempo ma per le epidemie – o suggerire percorsi clinici ottimali basati su evidenze in tempo reale[32][33]. Anticipatoria infine perché la diagnostica si fonderà con la prognostica: non ci limiteremo a dire “positivo o negativo”, ma con algoritmi e marker multipli potremo stimare la probabilità che un paziente sviluppi una forma grave, oppure identificare precocemente un ceppo emergente prima che diventi un’epidemia. Dal punto di vista tecnologico, vedo emergere tecniche isotermiche rapide e una maggiore integrazione con la genomica: piccoli ospedali che eseguono non solo PCR ma magari approfondimenti mirati sul posto per caratterizzare resistenziali o varianti virali. In Ulisse Biomed puntiamo molto sull’interoperabilità aperta: Hyris System è concepito come piattaforma modulare, se domani esce un nuovo metodo di amplificazione o un nuovo sensore, dev’essere integrabile facilmente nell’ecosistema. L’altro ambito è la connettività IoT: dispositivi sempre online che fanno diagnostica e auto-segnalano manutenzione predittiva, calibrano i protocolli in cloud, e dialogano con sistemi informativi pubblici (es. invio automatico di notifiche di malattie infettive ai dipartimenti di prevenzione, etc.). In sintesi, il futuro che vedo – e che stiamo costruendo – è un network diagnostico globale in cui ogni device è un nodo intelligente, ogni dato raccolto contribuisce a un quadro più ampio, e la distinzione tra centro e periferia sarà sempre più sfumata. La diagnostica molecolare diventerà davvero “pervasiva”, ovunque serva, e questo avrà un impatto profondo su come facciamo medicina, portandoci verso un sistema più proattivo e basato sui dati.

Conclusioni

I piccoli ospedali rappresentano spesso l’anello debole nelle reti sanitarie tradizionali, penalizzati da risorse limitate e distanza dai grandi centri. La diagnostica molecolare decentralizzata tramite soluzioni come Hyris System™ si configura come un potente equalizzatore, capace di colmare questo divario. Dall’analisi svolta emergono chiaramente i benefici: pazienti gestiti meglio e più rapidamente, personale clinico messo in condizione di prendere decisioni informate in tempo reale, laboratori centrali alleggeriti e trasformati in hub di conoscenza più che semplici “fabbriche di referti”. Il tutto con un ritorno economico misurabile in termini di costi evitati e ottimizzazione delle cure. Per massimizzare il successo di questa trasformazione, raccomandiamo alle direzioni sanitarie e ai decisori pubblici di:

  1. pianificare investimenti mirati in tecnologie POCT molecolari assicurando contestualmente l’integrazione nei sistemi informativi esistenti;
  2. definire protocolli e percorsi condivisi hub & spoke, con formazione incrociata tra personale del laboratorio centrale e staff dei presidi periferici, così da creare fiducia e competenza diffuse;
  3. monitorare attentamente i KPI nel primo anno di adozione (TAT, tassi di ricovero, utilizzo antibiotici, soddisfazione degli operatori) per quantificare il beneficio e aggiustare il tiro se necessario;
  4. sfruttare i dati raccolti per alimentare programmi di sanità pubblica (ad es. sorveglianza epidemiologica in tempo reale, come dimostrato dalla rete di bCUBE connessi) e per comunicare i risultati agli stakeholder (cittadini, investitori) in ottica di trasparenza e accountability.

In ultima analisi, la decentralizzazione della diagnostica molecolare nei piccoli ospedali non è solo un upgrade tecnologico, ma un cambiamento di paradigma organizzativo: è la concretizzazione della sanità “a km zero”, dove la qualità non dipende più dal codice di avviamento postale dell’ospedale, ma è omogenea e accessibile ovunque. Come abbiamo discusso, gli ostacoli tradizionali – costi, complessità tecnica, necessità di una cold chain – sono stati via via superati dalle innovazioni (reagenti stabili, AI, miniaturizzazione)[11]. I risultati sono già visibili in contesti pilota e studi: tempi di risposta drasticamente ridotti, migliori esiti clinici e maggiore efficienza gestionale[5][7]. Inoltre, questa evoluzione rende il sistema sanitario più resiliente: pensiamo a emergenze future, pandemie o focolai localizzati – disporre di una rete diagnostica diffusa permette di reagire velocemente e isolare le criticità prima che diventino problemi maggiori.

Possiamo quindi immaginare un prossimo futuro in cui un paziente che arriva in un piccolo ospedale con sintomi gravi ottiene in un’ora una diagnosi molecolare accurata (che oggi otterrebbe forse dopo giorni solo in un centro di terzo livello); in cui le ambulanze non devono più correre verso il “grande ospedale lontano” per avere una risposta, ma anzi il grande ospedale monitora e guida da remoto una costellazione di piccoli centri efficienti. “La diagnostica distribuita e connessa” – per citare la vision di Ulisse Biomed – diventa realtà, con beneficio per pazienti, clinici, amministratori e comunità. È una rivoluzione silenziosa ma di enorme portata, che rappresenta un pilastro fondamentale per costruire sistemi sanitari più equi, efficaci e sostenibili nell’era post-Covid e oltre.


Fonti e Bibliografia

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  • [3] [24] The Critical Role of Rapid Diagnostics in Antibiotic Stewardship – Link

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